Desta rabbia il fatto che nel Dpcm del 26 aprile non si faccia alcuna menzione a una possibile data di riapertura delle imprese della ristorazione, anzi si parla del 1° giugno. Cioè un altro mese di chiusura! L’ennesima dichiarazione in conferenza stampa del presidente del Consiglio, che lascia intendere uno slittamento del riavvio di tali attività a giugno, è intollerabile. Rappresenta una condanna a morte per l’intero settore. Un settore che raggruppa ristoranti, bar, catering, pizzerie, gelaterie, pasticcerie, rosticcerie ecc. ed altre attività composto da 400.000 impese, con oltre 1 milione di addetti.
Un settore strategico per il Food Made in Italy, un altro mese significa nessun canale di sbocco per l’agricoltura, per gli alberghi, per il beverage, vino e bevande in genere, per i formaggi, per i prodotti freschissimi come la mozzarella di bufala.
Significa condannare tutte le produzioni DOP IGP vanto dell’Italia nel mondo.
Ma possibile che non ci si rende conto di tutto questo? È incomprensibile e intollerabile una tale disattenzione da parte del Governo.
Dal punto di vista della sicurezza le imprese sono pienamente coscienti ed informate, e rispettose delle indicazioni del Governo, già la Commissione Europea ha dato indicazioni dall’8 di aprile e il Ministero della Salute dal 9 di aprile.
Le preoccupazioni che vivono le imprese della ristorazione sono quelle di ristabilire un clima di fiducia innanzitutto, capire cosa vuol dire realmente il rispetto delle distanze di sicurezza. Perché almeno un metro potrebbe imporre a ristoranti, bar, pizzerie forse un dimezzamento delle sedute e degli ingressi, con gravi conseguenze per l’occupazione. Non sappiamo cosa abbia fatto fino ad ora il Comitato Tecnico Scientifico visto che bisognerebbe aspettare un altro mese ci pare veramente assurdo.
Le imprese sono ormai allo stremo delle forze e le loro condizioni finanziarie sono così gravi da destare preoccupazione anche sul fronte della tenuta sociale di scelte scellerate come quella di una chiusura così prolungata.
Le imprese non riusciranno a resistere ancora per molto. La disperazione si sta trasformando in rivolta. Chiediamo al Governo di lanciare un messaggio immediato rassicurando le imprese sulla definizione di una prossima, e certa, riapertura”.
Riaprire non vuol dire pieno esercizio dell’attività che forse avremo fra un anno, significa riadattare il proprio locale alle nuove indicazioni sanitarie, pagare i debiti, buttare la merce in magazzino invenduta o scaduta di cui nessuno ha mai parlato,
rassicurare i propri dipendenti e la propria famiglia e poi decidere come e se andare avanti. Questo fa un imprenditore coscienzioso come lo è stato fino ad oggi. Ma non un altro mese di fermo perché significa condannare le imprese alla chiusura totale.